Kingston e Green Grotto Caves

Era a Kingston già da una settimana  e non si era mai sentito più vivo e rigenerato. Da  quando si trovava sull’isola molte cose erano  cambiate nella sua vita.  Ogni mattina Jonathan  si alzava all’alba  e andava a correre a piedi nudi sulla spiaggia privata dell’albergo. Era bello sentirsi finalmente libero. Niente più  stress, niente più rigide regole alle quali adeguarsi. Solo sabbia bianca sotto di sé e il caldo bacio del sole al mattino.

Ma Kingston non era solo sole e mare. Giorno dopo giorno, infatti,  l’uomo scopriva luoghi incantevoli nei quali perdersi come il Green Grotto Caves, una grotta immersa in una rigogliosa vegetazione, fonte d’ispirazione, per chiunque volesse trovare,  nella più romantica delle isole  caraibiche, un po’ di mistero.  E fu proprio mentre Jonathan si aggirava in una di queste grotte, fiocamente illuminate dalla luce delle torce, poste ai lati dei muri rocciosi, che la vide.

In realtà,  la prima cosa che attirò la sua attenzione fu una voce soave e cristallina, una  voce che conosceva bene. Ma, non poteva essere, pensò l’uomo.  Incuriosito, si voltò e la vide. Era Stephanie, la sua ex, più bella che mai.  Provò a chiamarla, ma lei fuggì via,  veloce come il vento. Le  corse dietro per raggiungerla, ma la folla, che stava visitando  insieme a lui la grotta, lo rallentò,  e quando finalmente riuscì ad uscire lei era già sparita.

Ritornato  in  albergo  l’uomo ripensò a quel fugace incontro, ai suoi occhi blu come il cielo stellato di quella sera, ai suoi luminosi capelli biondi, alla sua profumata pelle  ambrata e un nodo gli serrò la gola.  Lasciare lei era stata la cosa più difficile, perché nonostante  lui ritenesse il loro rapporto stanco e privo di significato sapeva che Stephanie era ancora molto coinvolta. Quella notte l’uomo non dormì.

Dublino e il Mistero Svelato

Seduti l’uno di fronte all’altro, davanti ad una buona tazza di cioccolata fumante l’uomo iniziò a parlare di ciò che era stata la sua vita sino a quel momento: “Lei ha ragione a pensare che in questa città ci sia un mistero da scoprire, ma – e qui l’uomo trasse un lungo respiro – quello che non sa è che il suo mistero sono io.

Cosa intende dire? Si spieghi meglio – gli chiese Sharon, superato l’attimo di confusione – Mio padre è stato il signore della città fino a pochi anni fa, quando, a causa del gioco d’azzardo, perse tutto.

Non avendo soldi liquidi per estinguere il debito contratto consegnò nelle mani dei suoi creditori tutte le sue proprietà, vale a dire l’intera città.

E lei dov’era mentre succedeva tutto questo? – gli chiese d’improvviso Sharon – Io non vivo più in questa città da molto tempo, – si giustificò l’uomo – ma appena ho saputo tutto quello che stava succedendo mi sono precipitato qui e ho cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia.

Prima di morire mio padre, qualche mese fa, mi ha fatto promettere che mi sarei preso cura della sua città. E così ho fatto.

Ma, se l’intera città è in crisi come mai stanno nascendo tante nuove attività finanziarie? – e prima che l’uomo potesse smentire – Non cerchi di negare. Chi le finanzia?

Io – rispose l’uomo con la massima semplicità – Voglio riportare la città al suo antico splendore”.

Mentre continuavano a parlare Sharon e il suo interlocutore, senza quasi rendersene conto, erano arrivati nella piazzetta di Temple Bar, che pullulava di musicisti di strada e di vita.

Ancora una volta, guardandosi intorno, Sharon si stupì delle grandiosità naturali e architettoniche che Dublino nascondeva ad ogni passo.

Tra poche sarebbe ripartita, ma di una cosa era certa: non avrebbe mai più dimenticato quell’atmosfera.