Hyde Park la nascita di un gruppo

Il momento tanto atteso era finalmente arrivato. James, Dean, Sean e Derek  provarono  per mesi  e mesi il repertorio musicale che avrebbero offerto al loro pubblico, qualora ne avessero avuto uno, cosa di cui tutti   dubitavano a parte  Sean. Malgrado ciò,   i quattro amici avevano  ugualmente preparato un  mix  di nuovi brani,   che andavano dal  melodico al jazz  al rock  duro.   Sarebbero state due ore intense  di pura  musica. Una serata  che avrebbero ricordato  per  sempre come  uno dei  momenti più belli della loro vita.

La  location  che avevano scelto  per il loro debutto,  era Hyde Park, un  luogo magico,  pullulante di grande musica, calpestato  solo dai grandi miti che avevano  scritto  le più  belle pagine della musica mondiale. E adesso toccava a loro. Chissà se ce  l’avrebbero fatta!

Londra, anfiteatro di un sogno

Un nuovo racconto firmato da Antonella Saia

James, Dean, Sean  e Derek si conoscono  sin dalla più tenera età.  La  loro è  un’amicizia che ha attraversato e superato grandi  difficoltà, ma una cosa  li ha sempre uniti; la musica.  Ogni giorno  si  riunivano nel garage di James  e suonavano le più belle cover della musica inglese contemporanea, sognando di ripercorrere le orme dei  più grandi mostri sacri del panorama musicale internazionale.

D’ altronde anche  i  Beatles e i Pink Floyd avevano cominciato la loro florida  carriera entra  le mura della misteriosa Londra, – pensava Sean, chiuso nella sua stanza e  steso sul letto, intento a contemplare  il soffitto senza neppure vederlo – e allora perché non potevano riuscirci anche loro? In fondo erano bravi.  Così, ecco l’idea; si sarebbero esibiti in un locale. Doveva solo crederci e fare in modo che anche gli altri ci credessero.

Enchanted Garden

Dal momento in cui l’aveva rivista in quella grotta Jonathan, non era più riuscito  a togliersela dalla mente. I  suoi occhi lo   perseguitavano ovunque andasse: sulla spiaggia mentre correva a piedi nudi, nell’hall  dell’albergo, sotto la doccia e ancora nel letto,  al suo risveglio.

Quando aveva lasciato Manhattan aveva pensato  soltanto a scappare da una vita  nella quale da troppo tempo si sentiva  imbrigliato, ma non  aveva fatto i  conti  con il suo cuore.

D’improvviso, mentre passeggiava  nella lussureggiante vegetazione dell’Enchanted Garden, perso in tali pensieri,  la vide, seminascosta da una rara e bellissima pianta tropicale. Lei non si era ancora accorta della sua presenza, così la sua sorpresa nel trovarselo dinanzi fu totale:

“Che cosa vuoi? – esclamò la donna sulla  difensiva –

Parlarti – rispose lui senza  attendere oltre-

È troppo tardi ormai, non credi? – replicò  Stephanie, continuando ad annusare il fiore che aveva tra le mani.

No, ti sbagli – replicò Jonathan,  prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. –  Io ti amo.

E la tua  libertà? – gli chiese lei, felice di poter dare sfogo finalmente a tutta la rabbia che aveva in corpo.

La libertà non ha alcuna importanza se al mio fianco non ci sei tu.” – rispose lui,  e senza darle il tempo di ribattere, la baciò.

Fu un bacio lungo, intenso e denso di significato.  Il sole al tramonto stava tingendo il cielo di rosso corallo segnando la fine di una giornata carica di emozioni,  mentre per loro  stava  per prendere il via un nuovo  inizio, all’insegna di una totale libertà,  finalmente priva di tutte le inutili convenzioni sociali.

Negril Lighthouse

L’alba,  quel giorno, mostrava tutte le sfumature del  rosa,  immerso  nell’azzurro di un mare cristallino, baciato da un timido sole che in quel momento stava facendo il  suo ingresso in cielo.  Era strano come da quando si trovasse a Kingston si accorgesse di tante piccole cose  che in passato aveva dato per scontato.

Nella notte appena trascorsa,  Jonathan aveva  ripercorso gli ultimi avvenimenti , soffermandosi sulla  notte che aveva preceduto la sua partenza.

Avevano trascorso una bellissima e romantica serata, culminata in una sfrenata notte d’amore, quando Stephanie,  occhi  negli occhi, gli chiese:

“Hai deciso riguardo la proposta di mio padre?

Il padre di Stephanie era titolare di un importante studio legale e aveva chiesto a Jonathan di entrare a far parte della sua squadra. Lui però  non aveva dato ancora  nessuna risposta,  fermamente intenzionato a   farcela  con le sue sole  forze. Doveva andarci cauto, si trattava pur sempre del padre della sua donna, così le disse:

Ancora nulla, perché me lo chiedi?

Perché oggi l’ho incontrato e ne abbiamo parlato –  rispose la donna emettendo un profondo  respiro – E poi perché sono incinta.   

Incinta?-  replicò lui perplesso- E questo cosa  c’entra con tuo padre?

C’entra, – rispose lei improvvisamente arrabbiata –  perché  vorrei vederti realizzato prima di mettere al mondo nostro figlio –

Era questa l’ultima immagine  che aveva  di Stephanie, la donna che aveva sempre amato.  Il  giorno dopo aveva spiccato il volo.

 

I ricordi si rincorrevano nella sua mente, mentre Jonathan nella sua folle corsa verso il nulla era arrivato fino al Negril Lighthouse, un faro che, sperava,  avrebbe acceso una luce sulla sua  vita e sul suo futuro.  Mentre  guardava l’oceano davanti a sé si sentì avvolgere da una leggera brezza e istintivamente si voltò. Stephanie era davanti a  lui. Il  suo destino si stava compiendo.  

Kingston e Green Grotto Caves

Era a Kingston già da una settimana  e non si era mai sentito più vivo e rigenerato. Da  quando si trovava sull’isola molte cose erano  cambiate nella sua vita.  Ogni mattina Jonathan  si alzava all’alba  e andava a correre a piedi nudi sulla spiaggia privata dell’albergo. Era bello sentirsi finalmente libero. Niente più  stress, niente più rigide regole alle quali adeguarsi. Solo sabbia bianca sotto di sé e il caldo bacio del sole al mattino.

Ma Kingston non era solo sole e mare. Giorno dopo giorno, infatti,  l’uomo scopriva luoghi incantevoli nei quali perdersi come il Green Grotto Caves, una grotta immersa in una rigogliosa vegetazione, fonte d’ispirazione, per chiunque volesse trovare,  nella più romantica delle isole  caraibiche, un po’ di mistero.  E fu proprio mentre Jonathan si aggirava in una di queste grotte, fiocamente illuminate dalla luce delle torce, poste ai lati dei muri rocciosi, che la vide.

In realtà,  la prima cosa che attirò la sua attenzione fu una voce soave e cristallina, una  voce che conosceva bene. Ma, non poteva essere, pensò l’uomo.  Incuriosito, si voltò e la vide. Era Stephanie, la sua ex, più bella che mai.  Provò a chiamarla, ma lei fuggì via,  veloce come il vento. Le  corse dietro per raggiungerla, ma la folla, che stava visitando  insieme a lui la grotta, lo rallentò,  e quando finalmente riuscì ad uscire lei era già sparita.

Ritornato  in  albergo  l’uomo ripensò a quel fugace incontro, ai suoi occhi blu come il cielo stellato di quella sera, ai suoi luminosi capelli biondi, alla sua profumata pelle  ambrata e un nodo gli serrò la gola.  Lasciare lei era stata la cosa più difficile, perché nonostante  lui ritenesse il loro rapporto stanco e privo di significato sapeva che Stephanie era ancora molto coinvolta. Quella notte l’uomo non dormì.

Alla scoperta di Kingston

Passeggiando sulla riva di Doctor’s Cave, una tra le più belle spiagge dei Caraibi,  Jonathan  ripensava a quella che era stata la sua  vita fino a pochi giorni prima.  Si  trovava a Kingston per spezzare la monotonia di un lavoro  ormai troppo imbrigliato in rigide regole che non  condivideva più; e sconvolgere altresì,  la monotonia di una vita nella  quale non si riconosceva più.

Per lungo  tempo, troppo forse,  era stato un avvocato di grido, membro di un famoso studio  legale di Manhattan, e adesso  che non era più così si sentiva svuotato. Era come se,  nella sua vita,  fosse stato tutto  prestabilito. Un buon lavoro, un rapporto  consolidato con una donna talmente bella e seducente  da non poterle resistere, una vita invidiabile, ma tutto questo era  solo fumo negli occhi  e,   solo adesso  fermo dinanzi a quel panorama mozzafiato,  dove il  mare sembrava  congiungersi con l’infinito, se ne rendeva improvvisamente conto.

Era stato in aula, durante l’ultimo processo, che si  era accorto di  quanta finzione ci fosse nella sua vita e sempre lì aveva preso la decisione più dura di tutta la sua esistenza. Qualche ora dopo era già  su un aereo diretto ai Caraibi.  Non era stato facile lasciarsi tutto alle spalle, ma da quando era arrivato al Delta Kingston Waterfront Hotel tutto era cambiato, anche il suo modo di vedere  il mondo che lo circondava.

Un giorno mentre percorreva in auto il litorale che costeggiava Long Bay Beach la sua attenzione fu attratta da un ragazzo che stava surfando. Lo faceva con estrema naturalezza, non esistevano tre elementi distinti ma uno solo. Era l’immagine della vera libertà.

Appena tornata a Londra Sharon contattò subito il suo editore per raccontargli cosa aveva scoperto durante il soggiorno in Irlanda.

L’uomo concordò con lei sul fatto che non esistesse nessun mistero, ma le permise ugualmente di scrivere la storia, considerandola come un caso del cuore.

Era raro, infatti, trovare al giorno d’oggi, un uomo che si prendesse così tanto a cuore il destino di un’intera città. Essendo già in clima natalizio una storia del genere sarebbe andata a ruba.

Ma, al di là della stesura dell’articolo Sharon non poteva fare a meno di ripensare a quell’atmosfera magica con i suoi paesaggi colorati che tanto l’avevano incantata, lasciandola senza respiro.

E poi, senza neanche accorgersene ecco che le tornavano alla mente quegli occhi blu, intensi come il mare in tempesta; quegli occhi che, da quando era tornata a casa, non avevano mai smesso di tormentarla. Non poteva finire così.

C’erano troppe parole non dette in quegli sguardi. Doveva rivederlo. Cosi, senza attendere oltre, prese la giacca e, dopo aver gridato al suo capo che tornava in Irlanda, si mise alla guida della sua Lotus. Destinazione aeroporto.

Mentre era in volo Sharon pensò ad una possibile motivazione che spiegasse il suo ritorno a Dublino, qualora avesse incontrato l’uomo misterioso, ma non le venne in mente nulla. Era la vigilia di Capodanno e lei stava tornando a Dublino. Stava tornando a casa. Non sapeva cosa sarebbe successo una volta arrivata in città, ma sapeva che proprio da lì avrebbe preso il via la sua nuova vita.

Era atterrata da poche ore quando, passeggiando per la via principale, incontrò nuovamente i suoi occhi.

“Sei tornata. – disse lui ammiccando un sorriso – Quanto rimarrai? Per sempre”. – rispose lei, ricambiando il suo sorriso – La sua nuova vita poteva avere inizio.

Dublino e il Mistero Svelato

Seduti l’uno di fronte all’altro, davanti ad una buona tazza di cioccolata fumante l’uomo iniziò a parlare di ciò che era stata la sua vita sino a quel momento: “Lei ha ragione a pensare che in questa città ci sia un mistero da scoprire, ma – e qui l’uomo trasse un lungo respiro – quello che non sa è che il suo mistero sono io.

Cosa intende dire? Si spieghi meglio – gli chiese Sharon, superato l’attimo di confusione – Mio padre è stato il signore della città fino a pochi anni fa, quando, a causa del gioco d’azzardo, perse tutto.

Non avendo soldi liquidi per estinguere il debito contratto consegnò nelle mani dei suoi creditori tutte le sue proprietà, vale a dire l’intera città.

E lei dov’era mentre succedeva tutto questo? – gli chiese d’improvviso Sharon – Io non vivo più in questa città da molto tempo, – si giustificò l’uomo – ma appena ho saputo tutto quello che stava succedendo mi sono precipitato qui e ho cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia.

Prima di morire mio padre, qualche mese fa, mi ha fatto promettere che mi sarei preso cura della sua città. E così ho fatto.

Ma, se l’intera città è in crisi come mai stanno nascendo tante nuove attività finanziarie? – e prima che l’uomo potesse smentire – Non cerchi di negare. Chi le finanzia?

Io – rispose l’uomo con la massima semplicità – Voglio riportare la città al suo antico splendore”.

Mentre continuavano a parlare Sharon e il suo interlocutore, senza quasi rendersene conto, erano arrivati nella piazzetta di Temple Bar, che pullulava di musicisti di strada e di vita.

Ancora una volta, guardandosi intorno, Sharon si stupì delle grandiosità naturali e architettoniche che Dublino nascondeva ad ogni passo.

Tra poche sarebbe ripartita, ma di una cosa era certa: non avrebbe mai più dimenticato quell’atmosfera.